Greenwashing e la nuova normativa UE

Contribuire alla salvaguardia del nostro pianeta è un problema che coinvolge tutti noi cittadini, così come i governi mondiali e anche gli enti sovranazionali. In una posizione delicatissima si trovano le grandi multinazionali, chiamate (pena una diminuzione della loro reputazione) a conciliare trasparenza e impegno con i loro obiettivi di business.


Lego ha recentemente ammesso di non essere ancora in grado di sostituire totalmente la plastica vergine utilizzata nei suoi mattoncini con plastica riciclata (non solo le performance non sono adeguate, ma l’intera filiera produttiva richiede un dispendio maggiore di CO2).

Apple in un video condiviso durante la conferenza di presentazione di iPhone 15 si fa bella con le iniziative a impatto zero per la produzione dei suoi device, il loro trasporta e di riforestazione, salvo poi notare che l’Apple Park di Cupertino ha un parcheggio per auto multipiano grande quasi quanto gli uffici stessi e non ci sono incentivi per i dipendenti a recarsi al lavoro con metodi di trasporto alternativi e sostenibili.


Insomma, un gran mal di testa. E queste sono aziende che operano su scala globale, sempre sotto la lente d’ingrandimento ed hanno senz’altro accesso alle migliori risorse, sia tecniche sia di marketing. Perché il rischio è che aziende un po’ più piccole cerchino semplicemente di saltare sul carro della green-economy e sfruttare il desiderio dei consumatori di modificare i loro stili di vita pur di aiutare un pianeta sempre più sofferente. Ed ecco dichiarazioni vaghe e ambigue, “riciclabile” e “riciclato” usati come sinonimi, etichette ambigue con dati tecnici di difficile lettura e lo spauracchio più temuto di tutti, la cosiddetta obsolescenza programmata.

Renovation. Brush with green paint


La buona notizia, però, è che l’Unione Europea sta per correre ai ripari ed è allo stadio finale una direttiva che punta a limitare questo fenomeno, obbligando le aziende ad essere molto più trasparenti e a non avvantaggiarsi delle zone grigie normative per acquisire un vantaggio competitivo.
Nello specifico ecco le linee guide che emergono della direttiva che nel giro (si spera) di alcuni mesi ritroveremo anche nei prodotti in vendita in Italia:

  • Saranno bandite nel linguaggio marketing parole come “climaticamente neutro”, “naturale”, “eco o ecologico”, “biodegradabile”, e simili, a meno che le aziende non riescano a provarle con risultati oggettivi inequivocabili (ad esempio test clinici o di laboratorio);
  • A contrasto dell’obsolescenza programmata sarà necessario rendere conto circa la resistenza e la durabilità di alcune caratteristiche di prodotto, notificando in maniera chiara quale sia il limite e quando il prodotto in uso potrebbe rompersi;
  • E’ richiesta una chiarezza aggiuntiva quando si celebrano i successi legati alla compensazione di CO2, dove ogni emissione nell’atmosfera durante l’intero processo produttivo e di trasporto è compensata con iniziative volte a minimizzarle nel bilancio complessivo (esempio tipico è la riforestazione). L’obiettivo è la tanto agognata “Carbon Neutrality“, ovvero che le emissioni di CO2 siano eguagliate da pari iniziative a contrasto, un traguardo effettivamente ambizioso e che praticamente nessuno ha ancora raggiunto: eppure fino ad oggi si poteva parlare di una filiera o di un prodotto “carbon neutral” presentando dei dati a supporto che nessun ente terzo aveva vagliato e confermato. La direttiva europea ambisce proprio a incrementare la trasparenza delle analisi ed introdurre dei paletti nel calcolo delle emissioni di carbonio che tutte le aziende devono seguire, certificare e dimostrare nelle loro campagne pubblicitarie;
  • Saranno anche bandite tutte quelle etichette verdi che non provengono da certificazioni approvate o da schemi di sostenibilità stabiliti dalle autorità pubbliche;
  • Un occhio di riguardo anche verso quelle pressioni verso i consumatori atti ad instillare in loro un senso di urgenza a sostegno di ulteriori atti d’acquisito, ad esempio sostituire le cartucce di una stampante prima dell’effettivo esaurimento d’inchiostro;
  • E infine un’iniziativa anche a salvaguardia del software, mettendo dei chiari ostacoli a quegli sviluppatori che introducevano aggiornamenti aventi lo scopo non di migliorare delle funzionalità, ma bloccarne alcune con l’obiettivo di limitare le potenzialità del software attuale tutto a vantaggio della versioni successiva, a cui l’utente ha accesso previo acquisto della licenza.

Insomma un attacco su più fronti a pratiche scorrette e poco trasparenti, che hanno finora impedito una piena fruizioni di prodotti acquistati o proposto alcune aziende come paladine dell’ambiente quando invece non lo sono affatto dati alla mano.
L’auspicio è che una volta che la direttiva sarà recepita da tutti gli Stati dell’Unione Europea (si presume nel corso del 2024) parole come “greenwashing”, “obsolescenza programmata” e altri vocaboli parecchio negativi saranno solo un brutto ricordo del passato recente…

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